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Intervento di Don Marco Cianci

Responsabile Pastorale Universitaria Diocesi di Milano

Incontro di presentazione dell’associazione Sintesi Politica  |  16 gennaio 2021

Buon pomeriggio Francesco e buon pomeriggio a tutti,

ti ringrazio per avermi invitato all’incontro di presentazione dell’associazione Sintesi Politica. Ho sentito l’Arcivescovo poco fa, e ti porto il suo augurio e il suo incoraggiamento.

 

In un tempo così incerto, sospeso ai colori che decidono il livello di mobilità – quasi di libertà – delle nostre vite quotidiane, fondare una associazione che ha lo scopo di rivitalizzare la vita politica a tutti i livelli chiamando a raccolta le migliori energie della città che mentre agiscono nel quotidiano sognano, non solo è una iniziativa lodevole ma indispensabile.

Cercherò, molto brevemente, di motivare la mia asserzione, alla luce del discorso che Monsignor Mario Delpini ha rivolto, come consuetudine, alla città in occasione della Festa di sant’Ambrogio, patrono della Chiesa ambrosiana, della città di Milano e della regione Lombardia.

In verità quel discorso non ha bisogno né di esegesi né di riletture né di interpretazioni. Tra le doti dell’Arcivescovo c’è – di sicuro – la chiarezza, il discorso piano, l’andar subito al sodo, l’assenza di orpelli retorici, anche se qua e là vien fuori la formazione del fine letterato. Ma tutto viene tosto ricondotto alla sobrietà tipicamente milanese e lombarda che fanno di Delpini un interlocutore attento e imprescindibile.

In effetti il discorso, che s’intitola “Tocca a noi, tutti insieme, non spreca neppure una pagina, va subito al centro della questione, come se l’urgenza di questo tempo non ammettesse perdite di tempo. Eppure, non è un discorso che genera ansia, anzi – arrivati in fondo – si esce come rincuorati, rinfrancati, con in mano strumenti concreti per l’agire da qui in poi.

A chi si rivolge Delpini? A coloro i quali si alzano ogni mattina e, senza sbuffare, senza lamentarsi si mettono all’opera e si dicono: “Tocca a noi! Tocca a noi, tutti insieme, far funzionare la città. Tocca a noi!”.

Quel “noi” è rivolto a Francesco Migliarese, a tutti voi che avete deciso di mettere a disposizione della città il vostro tempo, la vostra professionalità, la vostra sensibilità e le vostre competenze.

 

Il Covid non è un accidente della storia. È da stolti pensare che, chiusa la parentesi più lunga del previsto, tutto possa tornare come prima. Non ci risveglieremo nel gennaio 2020. Il mondo è cambiato. Questa generazione ha avuto la sua guerra. Lo scrittore David Grossman sostiene che quello da cui siamo aggrediti è più forte di qualsiasi nemico in carne e ossa che abbiamo mai affrontato. C’è chi, di mestiere, studia i conflitti e non li ritiene incidenti di percorso. Margaret MacMillan da Oxford ci fa sapere che i conflitti “hanno forgiato il nostro pensiero, il linguaggio, la politica e la società”.

Covid lascia dietro di sé una scia di morti, di feriti nel corpo, nella mente, nell’anima, danni materiali e sociali che ancora non sappiamo quantificare. Ma, come ogni conflitto, lascia anche semi di rinascita che sta a noi raccogliere e far fruttificare o lasciare ad inaridirsi sul terreno.

Dal discorso del Vescovo (lo ripeto: senza volerne fare l’esegesi) colgo quattro spunti che mi paiono importanti e che, in tutta semplicità desidero offrirvi:

 

1. Da questo pasticcio o ne usciamo insieme o non ne usciamo. Non è una battuta a buon mercato, del tipo “Andrà tutto bene”. Delpini subito punta l’indice sull’individualismo, “presunzione rovinosa”. Anche papa Francesco l’ha ricordato più volte: “Siamo tutti sulla stessa barca e ci si può salvare solo tutti insieme”. L’appello è a trovare dunque una “responsabilità della visione” che ci unisca come corpo sociale che si muove compatto, portatore del bene comune. Chi si fa carico del bene comune? Tocca a noi, tutti insieme. Soprattutto nella prima parte della pandemia si è avuta la percezione che avessimo bisogno della retorica dell’eroe. Il medico eroe, l’infermiere eroe… fotografati coi visi rovinati dalle mascherine, accasciati stravolti su una scrivania. Non voglio di certo sminuire quanto hanno fatto, che è costato davvero molto, è stato davvero eroico. Eppure, sono davvero beati i popoli che non hanno bisogno di eroi, come diceva Bertold Brecht, perché forse vuol dire che ognuno di noi, nel suo piccolo lo è. Tanti piccoli eroismi quotidiani rendono l’eroismo prassi, convertono l’io in noi, l’individualismo in una visione collettiva.

 

2. Abbiamo bisogno di creare, o meglio, di ricreare, una società della fiducia. Il tema è complesso e meriterebbe una trattazione a parte perché senza la fiducia la società è destinata a disgregarsi. O rimettiamo in circolo la fiducia o la società non sarà in grado di reggere. È una impresa ardua, difficilissima. La fiducia è merce rarissima oggigiorno. Io non so chi ne abbia consumata di più. Non so chi lo abbia fatto per primo. L’elenco dei sospettati è lunghissimo e i politici non sono in fondo alla lista, ricordatelo. Ma so che il nostro organismo ne possiede in quantità troppo scarsa. Il primo lockdown è stato sì un esempio di fiducia reciproca tra autorità e cittadini: “Per salvarci dovete restare a casa” dicevano i governanti, facendo appello al nostro buon senso (civico). Ma di fiducia asimmetrica perché, per star tranquilli, sotto casa ci hanno piazzato una volante dei Carabinieri. Adesso la volante non c’è più e qualcuno si lamenta: “Ma come, nemmeno un controllo?”. Un piccolo esempio che disvela un cortocorcuito. E mi fermo qui perché se iniziassimo a parlare dei vaccini non ne usciremmo più.

 

3. La pandemia sembra aver riposto nella soffitta della storia la retorica dell’uno vale uno. Eravamo giunti a un grado di sfiducia così alto che ci aveva colti la sindrome del Volo United Airlines 93. Ve lo ricordate? Era il quarto dei voli dirottati l’11 settembre 2001, l’unico a non aver raggiunto il suo obiettivo schiantandosi in un campo vuoto della Pennsylvania. Un gruppo di passeggeri assalì i dirottatori prendendo possesso di un aereo che pure non era in grado di pilotare. La pandemia ci ha fatto capire che per dominare il caos occorre studio, competenza, conoscenza e non improvvisazione.

 

4. Chi, come voi, vuol partecipare attivamente al confronto politico e alle competizioni elettorali, partendo dalle elezioni amministrative di Milano del 2021, non può non considerare che deve concorrere alla costruzione di una comunità plurale. Il Vescovo richiama alla responsabilità di “disegnare il futuro delle nostre città e della nostra società. Abbiamo la responsabilità di scegliere se essere vittime di una globalizzazione delle paure e degli scarti o protagonisti nell’edificazione di una comunità plurale che pratichi la cultura dell’incontro. Una cultura nuova, che si configuri come disposizione all’apprezzamento di tutte le culture e come pratica del dialogo tra persone, presuppone la persuasione di appartenere alla stessa umanità, di potersi chiamare fratelli non per un esercizio retorico, ma per rispondere a una vocazione”.

Quella vocazione dunque sia la vostra!

 

Grazie, di cuore, e buon lavoro!